Amanti tutti dell’indie rock d’importazione tendete bene le orecchie: qualcosa sta accadendo proprio mentre il solito nuovo nome d’oltremanica o d’oltreoceano, puntuale come ogni inizio anno, sta per arrivare. Mentre tutti i giornali scrivono quanto questi saprà cambiarvi la vita, sapete benissimo che cascarci non vi gioverà, anche perché avete appena letto su un sito Internet una recensione che vi ha avvertito che qualcosa sta accadendo, che gli altri ne vogliano parlare o no. Adesso.
“Adesso”, guarda caso, è il titolo del disco in questione.
Segnatevi poi queste quattro lettere: l, o, v, a. E’ il nome del gruppo.
Dopo tre demo e a due anni dall’album “21 giorni lunghi 21 anni” che da più parti aveva fatto gridare al miracolo, il gruppo brindisino ci riprova con un lavoro autoprodotto (a differenza del precedente, inciso per la Gina dischi), che ne sancisce l’assoluta validità.
Bastano 9 tracce per indicarci quale sia la rotta per sopravvivere all’ovvietà del già sentito e a farci crescere dentro, ascolto dopo ascolto, un affetto incondizionato nei confronti di tanta spiazzante freschezza. Canzoni dove la semplicità del pop si sposa con strutture a metà strada esatta tra Pixies e Pavement, tra Beach Boys e Deus. Ciascun brano meriterebbe una citazione, ciascuno con quel guizzo che ti fa immediatamente venir voglia di riascoltarlo all’infinito, vuoi per il piacere di una melodia, vuoi per la spiazzante felicità di alcuni testi ben sopra la media di quanto siamo abituati ad ascoltare, o per la voce sguaiata e perfetta di Maurizio Ribezzo, che va a braccetto con le chitarre decisamente vintage di Silvio Trisciuzzi e di quell’Alessandro Palazzo che è anche autore sia di tutti i testi che della musica del gruppo. Qua e là oltre ai nomi già citati si sente l’influenza esplicita delle deviazioni alle quali ci hanno abituati i Diaframma degli anni ’90, oltre a quella ancor più dichiarata verso artisti della “nuova onda” italiana come i Baustelle (“Contare e cantare” sembra appartenere di diritto al loro primo repertorio low-fi), con i quali i Lova sono legati da un doppio filo grazie al prezioso aiuto che il produttore Amerigo Verardi ha saputo prestare alla realizzazione di questo album.
Allo stesso tempo punto di forza e unico limite di questo disco pare essere l’essenzialità della registrazione, dovuta forse più dalle condizioni artigianali con le quali il gruppo si è dovuto per forza di cose confrontare, piuttosto che da vere e proprie scelte di produzione. I singoli brani si riempiono così di tinte naif, ma ne traggono un gran beneficio in termini di omogeneità sonora.
Quelle dei pugliesi Lova restano composizioni mai banali quindi, svuotate di ogni tendenza all’autocompiacimento e dotate di una lucidità invidiabile, che col loro scanzonato e beffardo sguardo sul mondo sanno avere la forza di un secchio d’acqua fresca lanciato in piena faccia ai retorici del nostro rock.
“Adesso” è la lezione di originalità di una formazione che dimostra di rifiutare categoricamente di soffrire del complesso di inferiorità verso qualunque altro nome, straniero o italiano che sia. Del resto mettersi in gioco necessita di una forza più grande, quella della proprie convinzioni.
Qualsiasi cosa stia accadendo intorno, perdersi i Lova sarebbe un vero peccato.
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